Visto che si parla di Rivoluzione Mindfulness è giusto indagare i vantaggi del meditare sul cervello dei meditanti. E per farlo seriamente, ci appoggiamo al punto di vista sperimentale e scientifico affinché siano i fatti a dare la misura di queste pratiche.

Uno dei principi su cui si basa tutto l’apparato concettuale della Mindfulness (Consapevolezza o presenza mentale) riguarda l’unione mente/corpo. Tale rilevanza è basata sulla consapevolezza che il riconoscimento e la descrizione delle sensazioni (e delle percezioni) del corpo veicolano informazioni riguardo alla sfera cognitivo-emotiva.

Non stupisce, quindi, che un ramo della ricerca sia espressamente dedicato allo studio dei meccanismi cerebrali che sottendono un orientamento mindful.

Benefici della meditazione mindfulness sui circuiti neuronali

La ricercatrice Sara Lazar nel 2005 cominciò a fare le prime scoperte significative sui benefici neurali della meditazione. Dai risultati emerse che il cervello dei meditanti presentava un ispessimento corticale in alcune aree fondamentali nella percezione del proprio corpo e nelle abilità attentive.

Pochi anni dopo, gli studi di imaging sui cervelli si moltiplicherano e confermarono questi stessi risultati, ovvero un ingrossamento di specifiche aree neurali come:

  • Le aree somatomotorie coinvolte nelle sensazioni tattili e nella percezione del dolore e quindi fondamentali per la propriocezione e la consapevolezza corporea
  • L’insula che presiede alla sintonizzazione con il nostro stato interiore e all’autoconsapevolezza emotiva
  • Alcune regioni della corteccia prefrontale coinvolte nei processi attentivi
  • Alcune aree della corteccia cingolata che si attivano nei processi di autoregolazione
  • I circuiti di autoregolazione della corteccia orbitofrontale

Questi dati non vanno interpretati solo come la capacità della meditazione d’incrementare la girificazione corticale (il ripiegamento alla sommità della neocorteccia), ma agevola tutta una serie di funzioni. Infatti, facilita la sincronizzazione di alcune aree del cervello e potenzia alcuni circuiti neuronali fondamentali nella gestione dello stress , ritardando l’invecchiamento cellulare.

Meditazione mindfulness e senescenza

Una lettura interessante – e coerente con Lazar – viene da Daniel J. Siegel, il quale ritiene che alla base di un funzionamento mindful c’è l’integrazione neurale che influenza la consapevolezza. Secondo l’autore:

La consapevolezza dell’esperienza che facciamo momento per momento ci dà la possibilità di sentire e accettare direttamente la nostra esperienza mentale. Questo stato di consapevolezza può coinvolgere in uno stato integrato tra varie regioni del cervello, incluse aree importanti della corteccia e le aree subcorticali del sistema limbico e del tronco encefalico. […] Questi percorsi di integrazione possono giocare un ruolo cruciale per il benessere. (D. J. Siegel, 2009).

La ricercatrice Eileen Lueders, nel 2016, pubblicò uno studio sulla rivista NeuroImage, dimostrando l’utilità della meditazione nel rallentare i processi d’invecchiamento nel cervello degli anziani. I cervelli dei meditanti di vecchia data a cinquant’anni, sono più giovani di 7,5 anni rispetto ai cervelli dei coetanei non meditanti. Infatti rimanendo costanti nella pratica meditativa, si preserva il cervello contrastandone l’atrofia.

La meditazione ha un impatto epigenetico associato ad un aumento dell’attività della telomerasi, un enzima che rallenta l’accorciamento dei telomeri (le regioni terminali dei filamenti di DNA nelle cellule) da cui dipende la durata della vita di una cellula. Più i telomeri sono lunghi, più lunga sarà la vita di una cellula. I telomeri favoriscono la stabilità genetica, sembrano svolgere un ruolo molto importante nell’invecchiamento cellulare e nelle malattie. Essi si accorciano naturalmente a ogni replicazione cellulare e la loro lunghezza può servire per determinare l’età biologica dell’organismo. Generalmente, più un organismo è sotto stress, più i telomeri si accorciano, favorendo lo sviluppo di malattie legate allo stress e all’età.

I vantaggi del meditare sul cervello dei meditanti è così qualcosa che va ben oltre l’opinione e le ricerche iniziano a dimostrarlo.

Meditazione Mindfulness e respiro

La pratica regolare della meditazione ha un effetto importante anche sulla qualità e sul ritmo del respiro come spiega uno studio di Joseph Wielgosz nel 2016 condotto nel laboratorio di Richard Davidson: i meditatori esperti respiravano più lentamente, facendo in media 1,6 respiri in meno al minuto rispetto ai non meditatori della stessa età e sesso. Questa differenza nella velocità attesta che i non meditatori eseguono più di 2000 respiri extra nell’arco della giornata e quindi più di 800.000 respiri in eccedenza nel corso di un anno con un conseguente costo fisiologico nettamente superiore a quello a cui vanno incontro i meditatori.

Il respiro dei meditanti di lunga data diventa infatti progressivamente più lento e ciò comporta un miglior umore, una migliore autoregolazione psico-affettiva e in generale, una migliore salute. Non a caso nei percorsi MBSR, le prime pratiche riguardano proprio il contatto con il respiro e con le sensazioni ad esso connesse. Sicuramente la meditazione mindfulness rappresenta un potenziale per il nostro benessere ma non va intesa come la panacea per tutti i mali. A questo proposito vorrei riportare una riflessione importante fatta da due tra le maggiori autorità nell’ambito degli studi sulla mindfulness come Richard Davidson e Daniel Goleman nel loro libro “La meditazione come cura”: ” L’MBSR e altri metodi simili possono ridurre la componente emotiva della sofferenza causata dalle malattie, senza però curare queste ultime. Ciononostante, l’addestramento alla meditazione di consapevolezza – praticato anche solo per 3 giorni – porta ad una riduzione a breve termine dei livelli delle citochine proinfammatorie, le molecole responsabili dell’infiammazione. E quanto più viene praticata, tanto più questi livelli scendono”.

Meditazione Mindfulness e Neuroscienze

Man mano che la Mindfulness si è diffusa nel mondo scientifico e psicologico e si è imposta anche all’interno del Cognitivismo, le Neuroscienze hanno iniziato a occuparsene per studiarne gli effetti sul cervello dei praticanti. Le ultime ricerche suggeriscono come la Mindfulness promuova cambiamenti funzionali nel cervello mediante la neuro plasticità.

Wendy Haselkamp in uno studio del 2012 conferma questa ipotesi e asserisce che questi cambiamenti nella connettività funzionale siano duraturi nel tempo.

Dimostra infatti come praticanti con molti anni di meditazione siano caratterizzati da una maggiore connettività all’interno delle reti attenzionali e tra queste e le regioni prefrontali mediali. Questi dati secondo Haselkamp causerebbero un maggior sviluppo nei praticanti mindfulness delle abilità cognitive, nel mantenere l’attenzione e nello svincolarsi dalle distrazioni.

Per raggiungere un livello conoscitivo sempre più elevato, all’interno delle Neuroscienze è nata una branca che si occupa in modo specifico della Mindfulness. Norman Farb in questo senso può essere considerato il capostipite di questo settore delle neuroscienze con il suo contributo ‘Mindfulness meditation reveals distinct neural modes of self-reference‘ del 2007.

Conclusioni

Si può affermare, quindi, che i vantaggi del meditare sul cervello dei meditanti trovino un fondamento scientifico.

Nella meditazione di Mindfulness avviene un’attivazione contemporanea delle aree cerebrali frontali adibite alle capacità esecutive e di allerta. Inizialmente avrebbero la funzione di indirizzare e sostenere l’attenzione, e in seguito quella di sostenere l’intenzione di proseguire nella consapevolezza al momento presente, attraverso l’influenza sui processi decisionali.

Le Neuroscienze utilizzando le loro conoscenze e strumenti come la Risonanza Magnetica e l’Elettroencefalogramma possono chiarire sempre più il ruolo che le pratiche meditative come la Mindfulness possono avere sul cervello dei praticanti ed i benefici che ne derivano.