
Imparare la felicità è una cosa possibile. Sovente la felicità è associata ad una sensazione positiva e permanente, una versione del “… e vissero felici e contenti” che abbiamo conosciuto nelle fiabe. L’idea che questa può essere metodicamente costruita e gestita è relativamente nuova e, in fondo, poco diffusa.
Obiettivo di questo articolo è favorire una credenza (o perlomeno una speranza): imparare la felicità si può… se si è disposti a mettersi in gioco!
La felicità tra fortuna e status
Partiamo dalle etimologie. In latino, felicità deriva da fertilia, fertilità. In scandinavo, era happ (ora radice nelle lingue anglosassoni per riferirsi a felicità) e significava fortuna, successo. Per gli antichi greci, il termine usato era eudaimonia, che significava nato sotto una buona stella e/o ben visto dagli Dei. Da questo breve (e non esaustivo excursus) si evince che l’uomo non era artefice della propria felicità bensì il “destinatario”. Questa idea secondo cui la felicità esprime una sensazione di appagamento ma è fondamentalmente legata alla fortuna durerà fino al ‘700.
La relazione tra felicità e fortuna cambiò nel 1776, quando Thomas Jefferson inserì nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti che “… la ricerca della felicità” era un diritto di ciascun cittadino.
Questa idea si affermò come imperativo nella società borghese in ascesa e seguirono tentativi di analisi e catalogazione. Tra questi, quello di Jeremy Bentham che realizzò un Catalogo dei Piaceri per misurare la felicità. Una formula (molto) semplice in cui la Felicità = Piacere – Dolore; ciò che era piacere (esempio, l’abilità, il potere) o dolore (privazione, imbarazzo, cattiva reputazione) era elencato in dettaglio in una lista. Se si voleva sapere se da una determinata azione si sarebbe tratto più piacere o dolore, bastava tirare fuori il catalogo e fare una semplice operazione.
Questo tentativo di razionalizzare la felicità ebbe una certa fortuna ma durò poco. Infatti, fu demolito poco dopo proprio dal suo allievo, pupillo e figlioccio John Stuart Mill che, a dispetto dell’apparente risultato favorevole derivante dal su citato catalogo, non era felice per nulla! Secondo Mill, la grossa lacuna della formula di Bentham stava nel fatto che il piacere è soggettivo. Inoltre, la felicità non la si poteva creare, non era il fine ultimo, bensì un “incontro casuale” dovuto al perseguimento di altri obiettivi.
L’idea della felicità come un diritto, quasi obbligo, ebbe conseguenze ambivalenti. Infatti, associò l’insufficiente prestigio sociale e potere economico al fallimento e quindi al sentirsi infelici. Questa è una delle ragioni che porterà il cofondatore della psicologia positiva Martin Seligman a rifiutare, o quantomeno evitare, il termine felicità perché troppo condizionato dallo status socio-economico che, per quanto importante, non è il solo contribuire alla felicità.
La felicità cambia paradigma
La novità introdotta da Seligman, ed altri, rappresenta un importante passaggio di paradigma che rompe definitivamente con le identità anteriori: “felicità = fortuna” e “felicità = status sociale elevato”. La vita è fatta di alti e bassi, gioie e dolori.
La Felicità va intesa come “vita prospera” (equivalente del greco eudaimonia di cui parla Aristotele nell’Etica Nicomachea), ove l’individuo accetta che la vita è fatta di gioie e dolori. Occorre che impari e pratichi il coraggio, la gratificazione non immediata e la compassione. L’idea della felicità come fato, status sociale o stato d’animo permanente è causa di frustrazioni. Essa, va ricondotta tra le emozioni per accettarne da una parte la temporaneità e, dall’altra, l’alternanza tra delusioni e soddisfazioni.
Seligman individua 3 tipi di “idea” di felicità. Queste sono:
- emozioni positive;
- esperienze ottimali;
- vita piena di significato.
Emozioni positive
Detta anche “hollywoodiana”, si basa sul fatto che più facciamo esperienza di emozioni positive più siamo felici. Ha tre inconvenienti:
- il godere di esperienze positive è un tratto del carattere ereditabile (pesa al 50%);
- è modificabile di poco ( 15-20%);
- la persona si abitua subito alla felicità (inteso come effetto euforizzante) che progressivamente si attenua (es.: è stato visto studiato che i vincitori di somme di danaro hanno gradualmente visto scomparire l’euforia iniziale confusa con felicità).
Esperienze ottimali
Siamo felici quando esprimiamo il meglio di noi stessi in ciò che facciamo al punto di perdere il senso dello spazio e del tempo. E’ il cosiddetto stato di flow. Quando diciamo: “ero così preso che non mi sono reso conto di quanto tempo fosse trascorso” è un esempio di stato di flow. Gli elementi che lo caratterizzano sono:
- concentrazione intensa;
- sensazione di estasi;
- obiettivi chiari;
- senso di serenità;
- distorsione del senso del tempo;
- motivazione intrinseca;
- bilanciamento tra sfida e capacità.
I tipici soggetti che fanno esperienza di flow sono gli artisti, i musicisti, gli sportivi, i creativi,… Come è possibile fare questa esperienza? Conoscendo i propri punti di forza, le proprie attitudini ed adattare la propria vita a questi.
Vita piena di significato
Siamo felici allorché diamo un senso alla nostra vita. Questo concetto è stato ben illustrato da Viktor Frankl, neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, ritenuto il fondatore della logoterapia (definita anche la Terza scuola viennese di psicoterapia).
La tesi centrale è che ci si cura scoprendo il proprio significato dell’esistenza e dei suoi valori fondamentali. Si è felici se… le proprie qualità sono a disposizione di: a) un progetto di vita; b) coinvolgano qualcun’altro.
Come imparare la felicità
Michael Fordyce, psicologo e ricercatore pioniere nel campo della misurazione della felicità, sviluppò il suo interesse per l’argomento sin dagli anni ’60. Durante un corso universitario chiese ai suoi studenti quale fosse la cosa più importante per loro; più del 50% rispose la felicità. Nonostante ciò, lo studioso constatò che la maggior parte di questi non comprendeva e/o non sapeva dare una definizione di felicità.
Per Fordyce, questa può essere vista come:
- umore (io sono di umore felice), si riferisce a come una persona si sente in un dato momento ed è quindi un emozione positiva di breve durata (in Seligman, “hollywoodiana”);
- sentimento globale (io sono una persona felice), comporta una valutazione del passato e della vita nella sua globalità (in Seligman, “esperienze ottimali” e “dare significato alla vita”).
Fordyce, integrando il suo lavoro con quello di altri, suggerisce che la felicità dipende da:
- fattori genetici, per il 15%;
- apprendimento durante l’infanzia, per il 35%;
- fattori ambientali, per il 50%.
Ne deriva che la felicità non è un tratto stabile bensì soggetta a miglioramento nella maggior parte delle persone. Quindi, l’incremento della felicità passa attraverso la pratica della quotidianità. Imparare la felicità, si può! Come?
Per Fordyce esistono 14 punti che contraddistinguono le persone felici. Questi punti rappresentano aspetti di base, atteggiamenti e pensieri, che una persona può apprendere per essere più incline alla felicità. Per comodità, le distinguo in 3 macro aree: la Sfera del Fare, la Relazione con gli Altri, il Rapporto con Se stessi.
La Sfera del Fare
Essere attivi. Mantenersi quotidianamente più attivi permette di migliorare il livello di benessere. Investire le energie in attività coinvolgenti, accattivanti e piacevoli rende soddisfatti e di conseguenza più felici.
Organizzarsi meglio e pianificare le cose. Le persone felici sanno cosa – come – quando e perché fare. Il procrastinare, spesso si accompagna ad un senso di colpa per aver perso tempo, inducendo sentimenti di tristezza diffusa.
Essere più produttivi svolgendo attività che abbiano significato. L’impegno profuso, quando produttivo, genera soddisfazioni. Affinché ciò avvenga deve puntare ad attività significative; es.: un lavoro soddisfacente.
La Relazione con gli Altri
Sviluppare una personalità socievole. Siate socievoli. Oltre ad aumentare la probabilità di conoscere persone significative per la vostra vita, potete aumentare anche la probabilità di ricevere rinforzi positivi concedendovi la possibilità di essere disponibili e gentili con gli altri.
Passare più tempo socializzando. Le attività sociale rendono felici. Secondo la teoria del bersaglio, più le relazioni sono profonde e intime, maggiore è il loro impatto sulla felicità. Al contrario, se si sta soli.
I rapporti intimi sono la fonte principale di felicità. Le relazioni che si instaurano tra persone felici si fondano sul piacere, inteso come voglia di passare del buon tempo insieme. Proprio per la loro importanza le relazioni intime possono essere fonte di profonda infelicità.
Il Rapporto con Se stessi
Smettere di preoccuparsi. Secondo la teoria time-clock, più tempo sarà dedicato alle preoccupazioni meno si ha tempo per essere felici! Questa aumenta quando diminuiscono i pensieri negativi. Infatti, le persone felici si preoccupano molto meno della maggior parte della gente.
Ridimensionare le proprie aspettative e aspirazioni. Le persone felici rincorrono meno il successo, ma paradossalmente, ne hanno di più. La rincorsa del successo mette in stand-by l’essere felici rinviandolo al domani. È utile conoscere le proprie risorse e i propri limiti, in modo da domandare alla vita cosa si vuole e godere delle piccole cose.
Sviluppare pensieri ottimistici e positivi. L’ottimismo migliora le emozioni e innesca un circolo virtuoso. Se si pensa di poter realizzare qualcosa, si è anche invogliati a darsi da fare e questo comportamento aumenterà le probabilità di raggiungere ciò che si desidera.
Essere orientati sul presente. Per essere felici è sicuramente utile investire di più sul presente, dando valore ad ogni giorno e godendo delle opportunità quotidiane.
Lavorare a una sana personalità. Per avere una condizione di benessere può essere utile concentrarsi su alcuni principi che riportano alla cura di sé: Conosci te stesso -> Accetta te stesso -> Apprezza te stesso -> Aiuta te stesso -> Sii te stesso.
Essere se stessi. Mostrarsi per quello che si è, con i propri pregi e i propri difetti, offre la possibilità di piacere a qualcuno e di poter costruire una relazione su basi solide e non fatue.
Eliminare sentimenti negativi e problemi. Se accumulate pensieri negativi come la rabbia, il senso di colpa, il risentimento, tenderete a vivere una vita infelice, proprio come nella pentola a pressione: l’aumento della temperatura farà – prima o poi – scoppiare il coperchio.
Considerare la felicità la priorità numero 1! Se non date valore alla felicità come pensate di ottenerla? Il pensiero non è “non devo, non voglio essere triste“, ma “mi piacerebbe (meglio ancora, voglio) essere felice“!
Conclusioni
Imparare la felicità… si può! Può richiedere impegno ma non significa che sia impossibile. Tutti i giorni ci sono persone che potrebbero lamentarsi per la loro condizione ed invece fanno cose straordinarie. Per citarne alcuni: Bebe Vio, Alex Zanardi, Stephen Hawking.
Imparare la felicità è avere cura di sé. Ciò implica un lavoro etico su se stessi, fatto di pratiche quotidiane finalizzate a divenire “guardiani di sé” (Epitteto). Esempi di pratiche utili: tenuta di un taccuino per annotare riflessioni, citazioni che possano essere richiamati dalla coscienza ed utilizzati nel quotidiano. Non sempre il desiderio di cambiare (che sottende un desiderio di felicità) è sufficiente, talvolta occorre un supporto.
Tra questi, il coaching aiuta ad imparare la felicità. Il coach “allena” il cliente a prendersi cura di sé, attivando un circolo virtuoso che conduce ad una maggiore conoscenza di sé e consapevolezza. Infondendo autonomia, responsabilità e consapevolezza il coach aiuta il coahcee ad affrontare i problemi attuali e futuri contribuendo al suo apprendimento per una vita piena di significato.
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Mercì
Pode-se aprender algo novo aqui todos os dias. Eu sou um regular para a maioria desses blogs, mas ainda não sabia sobre um par deles. Barbie Maxy Schoenburg
Eu não sei português mas obrigado por me ler