Con LA VULNERABILITA’: PRO E CONTRO, mi propongo di mostrare come questo stato emotivo e fisico sia, talvolta, causa di stress ma anche di crescita personale. Non si tratta di stigmatizzare o esaltare la vulnerabilità; infatti, né la “chiusura” (volta ad evitare la sofferenza) né l’eccessiva “apertura” (che ci espone ad un “ingenuicidio” annunciato) sono di per sé buone: occorre la giusta misura, la saggezza che discerne tra ciò che è salutare e ciò che non lo è.
L’articolo non è un elenco di pro e contro, semmai è una riflessione sulla vulnerabilità e 4 passi utili per renderla nostra alleata.
La paura della vulnerabilità e conseguenze
Da un punto di vista culturale, la vulnerabilità emotiva e persino fisica ha da sempre un’impronta dispregiativa e persino vergognosa. Chi si allontana dal modello di perfezione, forza e risolutezza – e accetta i dubbi e gli errori come parte del gioco – arriva a star male con se stesso in quanto non si adatta a ciò che la società si aspetta.
E’ ancestrale. Siamo convinti di essere in pericolo e siamo predisposti per cogliere, in modo preferenziale, tutti i segnali che possono avvisarci di un pericolo immanente. Questo fa sì che le nostre difese di base siano permanenti. Saperle allentare però è fondamentale perchè le difese comportano anche una tensione che rinforza la sensazione di pericolo. Il fatto che siano attive ci fa vedere di più i pericoli ma ce li fa anche “immaginare di più” e questo non è salutare!
La nostra società “spinge” l’idea che si debba essere migliori e al di sopra delle difficoltà. Quindi molte delle nostre difese hanno questa radice: culturale ed educativa.
A queste “difese” psichiche corrispondono precise risposte corporee: separazione mente/corpo, tensioni al collo, tensioni al diaframma. Inoltre, il poco radicamento a terra e un prevalente rifugiarsi nell’immaginario, comporta un cieco abbandono nel credere che i nostri pensieri siano veri e tangibili: più reali delle sensazioni.
Se la vulnerabilità ha pro e contro, cosa ci può aiutare ad avere una vulnerabilità salutare? Lungi da aver pretese di esaustività, di seguito offro alcune indicazioni (spero) utili.
Aprirsi all’incertezza
Il primo passo sta nell’aprire un varco rispetto a questa paura: abbiamo bisogno di essere più vulnerabili per uscire dalla ripetitività della percezione e degli schemi di pensiero (pilota automatico) costruiti dalle nostre difese.
Come aprire il varco? Lavorando su due fronti: corporeo e mentale.
Su questo argomento, Pema Chodron è una vera maestra. E’ un’insegnante di meditazione che nei suoi libri ed interventi sottolinea ripetutamente l’importanza dell’imparare a stare nell’incertezza e nella vulnerabilità come modo per cogliere creativamente le opportunità del presente.
Ovviamente questo lavoro sulla vulnerabilità è anche il cuore delle nostre difese. Nel farlo infatti andiamo sempre a toccare il trauma che sta dietro. E’ un lavoro in cui è necessario accompagnare la dolcezza e la profondità della consapevolezza. Inoltre attorno alle nostre difese si organizza il nostro dialogo interiore e quindi è necessario lavorare saggiamente su questo andando incontro alle sue diverse sfumatura, in partcolare lavorando sulle distinzioni linguistiche.
Il dialogo interiore è giudicante?
Il secondo passo, sta nell’osservare il nostro dialogo interiore. Questo, talvolta, è legato al constatare che non siamo nella situazione in cui vorremmo essere e quindi ci incitiamo a cambiarla. E’ come se in noi ci fossero due individui: uno insiste con l’altro affinché assuma un determinato comportamento.
Il dialogo si basa sul fatto che uno è nel giusto e l’altro è nello sbagliato. Uno sa che cosa si dovrebbe fare e l’altro no. Si basa su un giudizio e su una direzione.
Proviamo invece a lasciare sospeso il giudizio ed esplorare come mai siamo a quel punto: potremmo scoprire che quella situazione copre qualche nostra necessità nascosta. In questo modo, il lavoro sulle difese non inizia dal cogliere la prospettiva della parte di chi vuole cambiare ma della parte di chi che vuole rimanere aggrappato alle difese.
Difendersi è un modo per restare vivi. A volte, la vita (con la nostra complicità) ha lasciato un ricordo del dolore provato ancora ben inciso nella nostra memoria per cui non simao disposti a soffrire nuovamente. Quindi, pima di stigmatizzare l’atteggiamento difensivo, proviamo a metterci nei panni di chi lo assume. Probabilmente, susciteremo in noi quella compassione ed empatia che sono fondamentali per aver cura della vulnerabilità (nostra ed altrui).
Osservare e stare sul respiro
Il respiro gioca un ruolo chiave in tutte le difese corporee perchè la riduzione nella lunghezza ha proprio la funzione di non farci sentire emozioni che riteniamo disturbanti.
Attenzione! E’ una scelta combattuta: una parte di noi vuole vivere di più, sentire di più, avere più libertà. Quindi da una parte vogliamo rimanere ancorati alla nostra difesa – soprattutto dal punto di vista corporeo – e dall’altra vogliamo essere più liberi. Questo struttura un’area di conflitto cronico che si esprime attraverso il dialogo interiore su richiamato.
Un respiro che rimane accorciato lascia la persona immobile. Un respiro che si “allunga” oltre le possibilità mentali della persona la lascia, invece, spaventata. Quindi, abbiamo bisogno di procedere con lentezza perchè il respiro sia adeguato. E’ bene fermarsi, anche solo per pochi minuti, per darsi tempo di sentire ciò che stiamo provando.
Essere per Fare
Il quarto passo, è dare spazio all’essere prima che al fare.
La modalità del fare si basa sul raggiungimento di obiettivi e ci logora, ci fa vivere come assopiti nei nostri pensieri soffrendo ad ogni cambiamento indesiderato. Lottiamo per accorciare la distanza tra noi e quello che desideriamo, che si tratti di qualcosa di materiale, di un certo status sociale o dell’amore di una persona.. Ci sentiamo minacciati e siamo preda della paura di fallire, di sbagliare odi non farcela.
La modalità dell’essere, invece, si basa sull’osservazione accettante, che ci apre le porte ad un radicamento forte in noi stessi, raccolti ma al contempo aperti a tutto ciò che viene e va. Aperti a tutto, attaccati a nulla. Su questa base, saremo più equilibrati e forti, perché potremo godere dell’appoggio della dimensione dell’Essere, chè è più forte di qualsiasi (in)successo.
La mindfulness insegna questo: avere cura dell’essere affinché il fare che segue sia coerente con la nostra essenza più profonda. Fermarsi diviene l’occasione non per sfuggire alla nostra vulnerabilità bensì per comprenderla.
Conclusioni
La ricercatrice Brené Brown, è giunta a identificare 4 caratteristiche fondamentali che hanno in comune le persone capaci di creare connessioni: compassione, coraggio, autenticità e vulnerabilità. Quest’ultima è quella che reputa più importante. Infatti, le persone che accettano completamente la vulnerabilità, credono che ciò li renda belle persone.
Condivido il punto di vista della Brown: accettare di sentirsi vulnerabili è l’unico modo per costruire relazioni reali. Coloro che sanno di meritare i rapporti con gli altri accettano la loro vulnerabilità, perché è proprio questa a renderle persone migliori.
Possiamo riconoscere la forza della vulnerabilità nella volontà di dire «ti amo» per primi, di investire in una relazione che potrebbe funzionare o no; nel desiderio di agire senza avere garanzie di successo; nella volontà di smettere di prevedere, controllare e quindi nel “buttarsi”, nel rischiare.
E’ proprio quando non abbiamo più il timore di far vedere le nostre fragilità che ci scopriamo davvero forti, capaci di vivere totalmente e profondamente, in ogni azione, in ogni momento, valorizzando la nostra preziosa autenticità.
Mi auguro che coni 4 passi esposti in LA VULNERABILITA’: PRO E CONTRO i lettori possano aver tratto utili riflessioni e qualche spunto di azione per iniziare un cammino di rinnovamento in questo inizio 2025.
