La pace può essere allenata? Negli ultimi anni la nostra società è attraversata, con maggiore o minore consapevolezza, da conflitti che sembrano precludere all’idea che la pace sia una strada percorribile.
Questo, non riguarda solo i conflitti armati in atto mentre si scrive ma anche – e soprattutto per questo articiolo – i conflitti interiori. Tanto i primi come i secondi, di cui ci occupiamo qui, possono trovare soluzioni. Quindi, la pace può essere allenata? La tesi qui proposta è che sia possibile “educarsi” ad atteggiamenti mentali tesi a “costruire ponti piuttosto che muri”.
Conformare la realtà al nostro desiderio
La nostra giornata è fatta di obblighi, impegni e contrarietà varie che non ci permettono di fare quanto desideriamo. Quando viviamo queste situazioni la nostra tendenza è quella di modificare la realtà affinché si confomi al nostro desiderio. Cerchiamo di adattare l’esterno all’interno!
D’altro canto, se viviamo una situazione piacevole, questa ci da un senso di soddisfazione generale che dura fintanto che la mente non riprende le sue valutazioni taglienti.
E’ sufficiente una qualche familiarità con la pratica della meditazione (per i suoi vantaggi, si veda qui) per osservare che i mutamenti emozionali sono come quelli meteorologici: non cessano mai, nemmeno nei momenti migliori.
Ognuno di questi mutamenti è accompagnato da giudizi capaci di sottrarci quella pace a cui, se non tutti, molti di noi aspirano.
Comprendere gli altri
La patica della consapevolezza può aiutarci a rendercene conto e a non coltivare questo stato mentale disponendoci ad osservare, accogliere e rispettare ciò che è. Come insegnò Aja Chan, citato da grande Corrado Pensa nel libro “Dare il cuore a ciò che conta” meditando impariamo a notare quanti ospiti ci siano nella nostra mente, non tutti così gradevoli.
Possiamo ampliare questa consapevolezza anche alla mente degli altri. Infatti, proprio come noi anche gli altri sono sequestrati dal risentimento e, proprio come noi, si sentano minacciati e difendono ciò che hanno caro, anche quando non c’è una minaccia reale.
Capirlo è il più sano presupposto per coltivare la pace, agire eticamente ed essere individui responsabili. In proposito, per essere più consapevoli di noi rispetto a questo tema, facciamoci 3 domande:
- So accogliere i miei stati d’animo negativi?
- So rispettare gli stati d’animo negativi altrui?
- Sono impegnato nel pacificare?
La cronicizzazione del risentimento
La coltivazione del risentimento così come dell’atteggiameno spaventato e competitivo, erode la pace sia interna che esterna a noi. Quando l’altro è visto come qualcuno che può sottrarci ciò a cui teniamo, allora la pace si dissolve dentro e fuori di noi.
Il tema dell’impossibile convivenza pacifica è di grande attualità in questi ultimi mesi (conflitto russo – ucraino e conflitto israelo – palestinese con pericoloso coinvolgimento dell’Iran). La “rivalità” recente (russo ucarina) o storica (israelo-palestinese) è sostenuta da una narrazeione escludente: nessuno dei contendenti è disposto a prendersi le prorpie responsabilità ma solo a riconoscere quelle altrui.
A livello sociale abbiamo sotto gli occhi il diffondersi di una modalità relazionale violenta che pervade molti tipi di interazioni così come la diffusa intolleranza verso le regole. Insegnanti, professionisti, addetti alle relazioni con il pubblico, siamo tutti potenzialmente contagiati dalla diffidenza verso l’altro.
Data questa situazione, la pace può essere allenata? Cosa possiamo fare nel nostro piccolo per generare una pace empatica?
Cosa possiamo fare?
Per far fronte a queste difficoltà, possiamo mettere in campo delle pratiche; queste richiedono disciplina e tempo. Di seguito, due pratiche per allenarci alla pace.
Il Silenzio buono
Cerchiamo di trovare pace nel “silenzio buono”. Una pace che non polemizza, non minaccia, non parla male ma si manifesta semplicemente con la nuda presenza a se stessi e agli altri. Non è un silenzio che si fonda sulla paura della rottura della relazione e dietro il quale ci nascondiamo per punire l’altra/o.
Il silenzio in se, quindi, non è sufficiente. Occorre chiedersi nell’intimità del nostro cuore se questo lo pratichiamo per pace o per castigo verso il prossimo.
Assertività
Come il silenzio ricattatorio, esiste anche una pace tossica che trae origine dalla sottomissione forzata. E’ la pace che si mantiene per quieto vivere e che ci fa ingoiare bocconi amari. E’ una finta pace che, oltre ad essere ingiusta, ha delle controindicazioni. In se ci sono i germi della ribellione: dopo tante “cattiverie” si decide di reagire e talvolta la reazione è violenta.
Invece di reagire dopo tanta sottomissione, sottraiamoci a questa situazione con “l’assertività” e mettendo da parte, così, quegli scatti violenti che non creano pace dentro ed intorno a noi.
Conclusioni
Acquisire una sensibilità interiore verso questi momenti di silenzio e relazioni ci aiuterà ad essre maggiormente assertivi senza aspettare di arrivare all’esasperazione, alla reazione impulsiva, alla rottura violenta.
Muovendoci con saggezza e compassione possiamo recuperare sia la nostra integrità morale che uno spazio di pace, anche intorno a noi.
La pratica della consapevolezza nasce dall’assumerci la nostra responsabilità della risposta al male subito (o al bene ricevuto). Ci aiuta a comportarci in modo più conciliatorio abbracciando con benefica sollecitudine la domanda di cura che ogni essere umano che incontriamo porta con sè.